L’isola del Giglio ti accoglie sempre in modo sorprendente, con le sue piccole case colorate del porto, le palafitte dei ristoranti, le macchie di buganvillea che spuntano tra il verde e il granito, la torre pisana e il profilo arcigno e possente del Castello. Per tre estati, dal 2012 al 2014, la sagoma chiara della Costa Concordia è stato l’amaro biglietto da visita di questa piccola e splendida isola: la nave inclinata sul fianco destro quasi ostruiva l’ingresso al porto e il suo profilo abbagliante era visibile dal traghetto poco dopo aver abbandonato Porto Santo Stefano. Poi l’impresa fantastica: il raddrizzamento, la rimozione e un viaggio simile a un tragico funerale lungo tutto il mar Tirreno. Il Giglio è uno scoglio aspro e scosceso con pochissime spiagge (Cannelle e Caldane, a sud ovest, dalla sabbia dorata e brillante, Campese dalla parte opposta) e nessun altro approdo oltre al porto che guarda l’Argentario. Due fari bellissimi presidiano il nord, Capo Fenaio e il sud, Capel Rosso. Qui, un sentiero e una lunga scalinata scavata nel granito – immortalata da Sorrentino nella scena finale della Grande Bellezza - portano fino al mare, profondissimo già a poche decine di metri dagli scogli e di un cobalto incredibile. Il versante che va da Capel Rosso al faraglione di Campese è una parete rocciosa selvaggia, quasi priva di vegetazione se non per alcune piccole vigne eroiche e la stranezza di una palma sopra la grotta di Cala del Corvo. Sullo sfondo, verso ovest, Montecristo, una cresta di pietra alta seicento metri che al mattino riflette il sole e riempie di grigio l’orizzonte. Cala dell’Allume, il Pozzarello e l’ampia baia di Campese riservano colori dovuti alla presenza di ferro, zolfo, manganese che per un periodo breve diedero vita a iniziative di sfruttamento minerario. Il Castello è il cuore dell’isola, sorge su uno sperone di roccia scoscesa e dalle sue mura la vista copre uno spazio enorme, la costa da Civitavecchia a Piombino, l’Amiata, l’Elba, Montecristo, la Corsica e Giannutri. Una passeggiata serale per le stradine di Castello ha un fascino particolare e se si ha la fortuna di ascoltare il maestro Uto Ughi esercitarsi al violino si può sfiorare il sogno. Il borgo fortificato testimonia delle difficoltà nel tempo alla vita “sul mare”, e chiarisce anche come l’isola non abbia mai avuto una specifica vocazione marinara. Il piatto tipico gigliese infatti è il coniglio selvatico (sono di piccole dimensioni, è facile incontrarli nei sentieri e purtroppo vengono catturati in notevole quantità con trappole rudimentali che li mutilano in modo crudele). Certo, nei ristoranti il pesce viene proposto in grande quantità, ma le barche di pescatori gigliesi si contano sulle dita di una mano. L’altra specialità gigliese è il vino, l’Ansonaco, prodotto da vitigno autoctono, che viene coltivato in piccole vigne, dalle piante basse, spesso in località improbabili e su un terreno sostanzialmente roccioso. Queste caratteristiche si riflettono nel colore ambrato, carico e nella gradazione alcolica elevata per un vino bianco, non inferiore ai 14 gradi. E’ un vino dal sapore antico, sostanzialmente fatto fuori dai contesti enotecnici così sofisticati di oggi, dove la “cantina” non ha praticamente peso. Il mare: l’isola è un luogo speciale per i sub in quanto non è necessario raggiungere profondità elevatissime per ammirare fondali bellissimi. Più semplicemente posso dire che la limpidezza delle acque, i colori, la presenza di una grande quantità di pesci ammirabile anche con maschera e boccaio, rendono indimenticabile un bagno nelle spiagge e nelle calette dell’isola.
Dopo venti anni di arrivi e di ritorni fatico ad identificarmi come semplice turista: posso solo dire che dopo tutto questo tempo l’isola riserva ancora stupore e bellezza, dai solari ed intensi profumi di mirto e rosmarino al notturno inquietante scroscio del mare sferzato dal maestrale, dai sassi colorati di una piccola e solitaria caletta, alla nebbia che, anche nelle giornate estive, avvolge e dà un senso di mistero al Castello, ai lunghi e sempre diversi tramonti estivi sulla baia di Campese. Quest’anno, al ritorno, in un’atmosfera carica di un silenzioso spleen, accanto al traghetto due delfini hanno danzato in controluce: l’ultima piccola magia che fa già desiderare di ritornare a quel mare ed al suo fragrante abbraccio.
2 Commenti
maria
10/10/2017 17:45:01
Condivido e comprendo pienamente lo stupore che riservano alcuni luoghi anche dopo tanti anni, credo che la chiave sia nella sensibilità di chi osserva, di chi sa cogliere, di chi ama, oltre che ovviamente, nella bellezza del posto.
Risposta
Marco
10/10/2017 23:37:29
Grazie Maria!!! E' bello sentirti. Mi sa che questa sensibilità, questa cura nell'osservare ed ascoltare quello che ci circonda la condividiamo....
Risposta
Lascia una risposta. |
Archivi
Settembre 2017
Categorie
|